“Dono, dunque siamo”: 4 ottobre, il Giorno del Dono

Per valorizzare e per coltivare la solidarietà“, “per costruire una cultura condivisa del dono, strumento prezioso per uscire dalla crisi economica, di senso, di valori“: a spiegare cosa significhi e cosa rappresenti il Giorno del Dono è l’Istituto Italiano della Donazione, ricordando che il primo Giorno del Dono della Repubblica Italiana è stato celebrato il 4 ottobre 2015, festa di San Francesco d’Assisi patrono d’Italia, già giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra culture e religioni diverse.

La Fondazione della Comunità di Monza e Brianza ha sempre partecipato all’iniziativa: di solito organizzava un momento di incontro e di scambio in città. Quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria, il #DonoDay2020 ha cambiato forma ma non sostanza: sbarca online, con una serie di testimonianze su cui riflettere.

Come quelle raccolte in questi mesi dal Banco di solidarietà “Noi, gli amici di Paolo”, di Muggiò, che ha condiviso con noi (e con voi) parole preziose: tanto di chi ha ricevuto, quanto di chi ha donato. Eccole.

“Dono, dunque siamo”
È il titolo di un libro in cui mi sono recentemente imbattuta e che bene descrive l’esperienza del nostro Banco di solidarietà, soprattutto in questi tempi non facili. Il dono è l’elemento che ci contraddistingue da sempre: dono di cibo, di tempo, di affetto, di stima. Il valore del dono sta nell’assenza di garanzie da parte del donatore che incontra la libertà dell’altro: libertà di ricambiare, del tempo in cui ricambiare, del modo in cui lo si fa. Il dono è un atto reciproco di fiducia, e quindi generatore di relazioni. Dunque siamo. Il nostro operare in tempo di Covid-19 ha amplificato questa capacità di generare relazioni che è insita nel dono. Sono nati o si sono rafforzati i rapporti tra enti che, a Muggiò, da sempre si occupano di aiuto agli altri. Con associazione Madre della Misericordia, Caritas, Società San Vincenzo De’ Paoli, associazione Famiglie italiane, comunità pastorale Madonna del Castagno abbiamo presentato una richiesta di finanziamento alla Fondazione della Comunità di Monza e Brianza decidendo di lavorare tutti insieme, valorizzando le specificità di ognuno. Al finanziamento di 10mila euro stanziato dalla Fondazione e dal Fondo Famiglia Sadino per l’acquisto di derrate alimentari e di mascherine, si sono aggiunte le donazioni di associazione Mondeco e di altri privati che con i loro importanti contributi hanno consentito di raddoppiare le risorse disponibili. Al momento le donazioni ammontano a 7.330 euro e vengono utilizzate per pagare bollette, affitti e spese sanitarie delle famiglie in difficoltà. Ai volontari storici, che non hanno fatto mancare, in una maniera nuova dettata dalle inaspettate condizioni, il loro generoso apporto, se ne sono aggiunti molti altri, alcuni alla prima esperienza. Sono nati incontri, scambi, nuovi modi di guardarsi nonostante le mascherine!

 

Non volontari ma amici: incontri che cambiano la vita
Cari amici,
ritengo doveroso ringraziarvi per tutto quello che fate per me. Sono una mamma separata con due bambini piccoli e quest’emergenza sanitaria è stata per tutti una prova non indifferente ma, devo essere sincera, quando è iniziato il lockdown, la paura della solitudine e il sentirsi impotente e insufficiente per me e per i miei bimbi, mi avevano fatto disperare. Il problema primario che ho dovuto subito affrontare era quello di poter procurare il cibo per me e per i bimbi. Ho chiamato il numero trovato sul volantino del comune senza sapere chi mi avrebbe risposto all’altro capo, aspettandomi un gentile rifiuto dato che non rientravo nelle categorie descritte come bisognose. Con mia grande sorpresa, invece, ho trovato quella che, insieme a Nuccio, sarebbe diventata il mio angelo custode durante la quarantena: Antonella. Sì, perché non solo non hanno rifiutato di darmi una mano, ma si sono prodigati, anche oltre il loro dovere, perché non mi sentissi sola. Esempio commuovente per me è stato quando hanno preparato e portato una torta, dei dolci e dei piccoli giochi per festeggiare il compleanno del mio primogenito, che ha compiuto sei anni durante la quarantena. O ancora quando, dopo aver ricevuto la spesa ordinata, nel pomeriggio Nuccio si è presentato con gli scatoloni offerti dal Banco di solidarietà. Non avevo parole per ringraziarlo. (…) Sono molto grata per aver trovato non dei semplici volontari, ma Amici con cui desidero proseguire l’amicizia anche dopo l’emergenza. Ancora una volta grazie.
Lettera firmata.

 

Non siamo mai sole: nuove amicizie in tempo di Covid-19
“Grazie signora,
non sa come mi sento umiliata ad essere arrivata così. Siete degli angeli, grazie di cuore, ci alleviate un po’ di sofferenza. Anche se quando mi vedo non sembrerebbe, ma il sopravvivere è difficile. Cerco di darmi da fare il più possibile, ma ho perso la mamma di recente e ora ho papà a cui stare dietro. Grazie di cuore”.

“Io nel mio caso posso dirle che davvero è un aiuto importante alla mia famiglia. E ringrazio dal profondo del cuore tutte le persone che si impegnano tutti i giorni per fare arrivare il cibo in tavola a chi ne ha bisogno. Le persone speciali come voi fanno cambiare il mondo. Grazie mille!”

“Ciao, mi fa piacere dire a tutti grazie di cuore e soprattutto a te che sei il nostro angelo custode lo vorrei gridare che senza il vostro aiuto io non ce la facevo a superare questi momenti difficili. Grazie grazie non potrò mai riuscire a ringraziarvi.”

 

Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo
Che cosa mi ha lasciato questo periodo di servizio? Un rumore, quello di una porta. Proprio oggi ricorre il centenario della nascita di papa Wojtyla: nella sua prima omelia da pontefice disse “Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo”. L’immagine della prima porta che mi richiama questo periodo è quella della mia chiesa la sera del 23 febbraio, una porta chiusa. Un’immagine che non mi potrò mai dimenticare e con me non la scorderanno di certo le altre persone che erano lì per entrare a sentir Messa. Ma è proprio vero che quando si chiude una porta se ne apre un’altra, ognuna con il proprio rumore, il proprio cigolio a volte un po’ sommesso. Una porta, quella di anna, lei ci chiede se le possiamo portare la spesa. Poi Sonia ha bisogno dei farmaci; poi Franca, Luigi, Natale, Margherita, Alessandro, Giovanni… E dietro queste porte si aprono tanti volti, a volte sorridenti, a volte preoccupati o affaticati. Volti che ricordo uno per uno e che si confondono con i volti delle persone con le quali ho fatto rete, vivendo giorno dopo giorno questo servizio. Le loro porte da sempre, ancor prima che la pandemia glielo chiedesse, erano già aperte. Le loro porte sono porte che non cigolano e che non fanno rumore, non sono porte di una casa. Sono le porte del loro cuore che da sempre sono aperte per accogliere e servire l’altro perché a questo gruppo di amici una cosa è chiara: “la fede se non ha le opere è morta in se stessa” (Gc, 2,17).

 

Rendersi utili, con sorriso e simpatia
“(…) Questo tempo dedicato agli altri è stato rigenerante per me, perché credo ci sia sempre il bisogno di sentirsi utili e necessari per qualcuno, di creare delle connessioni tra noi, e vedere l’amore e la premura di chi da sempre è al servizio della comunità mi ha mostrato come essere un po’ più umile e disponibile per la tutela di un altro, perché questo ricolma capillarmente e in primis noi stessi”. Miriam

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