I-tech. Consapevolezza e autodifesa digitale.

Che cosa c’è dietro alla bacheca di Facebook e alle chat di WhatsApp che usiamo tutti i giorni? Siamo sicuri di conoscere come funzionano i social network? Esiste davvero un modo buono di usarli?

Da queste domande prende avvio l’incontro sulla consapevolezza e l’autodifesa digitale, organizzato a Desio dall’Associazione Puppenfesten. A trattare questi temi ci sono Carlo Milani e Davide Fant, membri del collettivo Ippolita, un gruppo di ricerca indipendente che da anni si occupa di studiare gli effetti sociali delle nuove tecnologie. Sono esperti di varie discipline che hanno deciso di unire competenze e prospettive diverse per affrontare globalmente l’argomento; nei loro libri, scritti a più mani, si sforzano di spiegare anche al grande pubblicole complesse dinamiche che regolano i nuovi media.

“Spesso ci si lamenta dell’uso eccessivo dei social” riflettono Davide e Carlo “ma non si considera che essi sono espressamente progettati per essere usati il più possibile”. I due ricercatori paragonano la dipendenza da social a quella generata dai videogiochi e prendono a esempio proprio questi ultimi per illustrare le tecniche utilizzate per catturare il nostro interesse. Senso della sfida, immersione in una realtà nota, seppur stilizzata, possibilità di soddisfare gli istinti più bassi. E ancora musica, colori e punteggi. Sono gli elementi più semplici ad attrarre la nostra attenzione.Dai prototipi degli anni ’80 fino ai più sofisticati prodotti odierni, il modus operandi dei creatori di videogame non è mutato.Un gioco che tiene incollato al monitor il giocatore è un gioco ben riuscito (e quindi venderà moltissime copie).

Viene poi mostrato come i social network presentino la stessa progettazione dei videogiochi. Non è un caso che il bottone di accesso di Facebook oppure l’icona di WhatsApp siano di colore verde, mentre le notifiche sono caratterizzate dal rosso. Si tratta di un evidente richiamo ai colori semaforici: il verde è un implicito invito a procedere, il rosso intima di fermarsi e guardare. Likes, followers e visualizzazioni, in maniera analoga ai punteggi dei videogiochi, mirano a suscitare in noi un perenne senso di competizione.

Eppure i social sono gratuiti (e sempre lo rimarranno, come ricorda il celebre slogan di Facebook). Perché dunque ricercare spasmodicamente la nostra attenzione? “Per bombardarla di inserzioni pubblicitarie” chiosano Davide e Carlo. La mole di dati acquisita sulle nostre abitudini e sui nostri gusti consente di affinare molto le tecniche di marketing e pertanto di renderle più efficaci e redditizie. I due sono perentori: “Non c’è un modo corretto o sbagliato di usare i social. Più usiamo queste piattaforme, più le aziende che le hanno create guadagnano”.

Il messaggio lanciato è chiaro: bisogna esser consapevoli del funzionamento di queste applicazioni, per prevenire i rischi connessi al loro uso. Non solo la dipendenza, ma per esempio la paura di non riuscire a restare aggiornati (in inglese fomo, ovvero fear of missing out), l’innesco di dinamiche depressive oppure l’esacerbazione della conflittualità. “Ragazzi e adulti devono superare le reciproche diffidenze e rendersi conto che si trovano sulla stessa barca: solo così si possono trovare soluzioni efficaci”.

Il progetto I-Tech, finanziato con il bando YB 2017, punta a sensibilizzare entrambe le categorie. Un gruppo di ragazzi del CFP di Desio partecipa a laboratori specifici per riflettere su questi temi e poi diffondere le conoscenze acquisite a compagni e coetanei.

L’incontro con gli esperti di Ippolita era invece rivolto principalmentea insegnanti e genitori, ma aperto alla partecipazione della comunità brianzola. In primavera seguiranno altre due conferenze: il 20 Marzo si parlerà di rischi del web con la Guardia di Finanza di Seregno, mentre l’8 Maggio di fake news con il celebre divulgatore Paolo Attivissimo. In estate infine per i ragazzi vi sarà un weekend “technology free” nel Parco di Monza, per provare direttamente a staccare da social e cellulari.

Di Guido Confalonieri

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